4 Nov 2018 - Alfabeta2

La donna in Russia è più di una donna di Valentina Parisi

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Secondo un verso un po’ enfatico uscito dalla penna di Evgenij Evtušenko, poi entrato nell’uso comune, “Il poeta in Russia è più di un poeta”, e quindi vate, intellettuale, coscienza critica della nazione, ingegnere d’anime. Leggendo il bel libro di Margherita Belgiojoso Là dove s’inventano i sogni. Donne di Russia, viene da chiedersi se la stessa affermazione non possa valere in fondo anche per le donne, o quantomeno se non sia toccato a loro, ancor più che agli uomini, stravolgere di volta in volta i propri comportamenti e le proprie vite a seconda dei cambiamenti repentini della Storia. 

Una vocazione talora fatale, altrove salvifica, alla messa in gioco di sé è sicuramente quanto le sedici “eroine” scelte da Belgiojoso condividono, e non è un caso, visto che quasi sempre si tratta di figure note per le loro scelte anticonformiste, per la tendenza a eccedere i ruoli stereotipati imposti dalla società o, in ogni caso, per una cocciuta inclinazione a fare comunque di testa loro. Dalla principessa Marija Volkonskaja, che lasciò tutto (compreso il figlio neonato) per seguire nell’esilio in Siberia il marito decabrista Sergej, alla rivoluzionaria Vera Figner, dall’androgino “poeta” simbolista (non poetessa!) Zinaida Gippius fino alla dissidente Elena Bonner, la storia russa e sovietica si dispiega a ritmo incalzante, riletta sub specie della predisposizione femminile a mettere e a mettersi i bastoni tra le ruote, a ridiscutere polemicamente verità all’apparenza inamovibili, a inventarsi, in altre parole, nuovi spazi di libertà. 

Sedici biografie in questo esemplari che l’autrice colloca in ordine rigorosamente cronologico, quasi le sue protagoniste si fossero davvero passate il testimone l’un l’altra, come suggerisce il risvolto di copertina, nel corso di due secoli di storia che Belgiojoso interroga sì sulla base delle fonti, ma anche della sua esperienza personale di giornalista che ha vissuto per oltre dieci anni in Russia. Il risultato è un’infilata di profili – una galleria di ritratti dove gli sfondi sono spesso ricorrenti, con una netta prevalenza delle algide architetture pietroburghese – che si delineano di regola in medias res, col soggetto di turno colto in un momento di svolta (la ballerina classica Matil’da Kšesinskaja, amante di Nicola II, costretta a lasciare Pietrogrado all’indomani della Rivoluzione, Aleksandra Kollontaj che il 3 aprile 1917 si reca a Beloostrov per salutare il ritorno di Lenin in patria), oppure in uno scorcio di vita quotidiana (Varvara Stepanova nello studio moscovita che condivide col marito Aleksandr Rodčenko, Anna Achmatova mentre passeggia lungo la Neva in un pomeriggio di febbraio). 

Tematicamente, ogni ritratto rinvia a quello immediatamente precedente o anticipa i successivi: nella sua composizione c’è sempre un dettaglio o un rimando che spezza la solitudine della protagonista e la riconnette – non di rado per contrasto – alle altre. Al contempo, l’autrice adotta di volta in volta il punto di vista di ciascuna, per confezionare quelli che sono invariabilmente soliloqui interiori; evita così di dare giudizi (o, meglio, lascia che a esprimerli siano le sue eroine: così Stepanova “ridimensiona” Lili Brik, o la Gippius taglia i panni addosso – ricambiata – all’Achmatova) e tuttavia tradisce, com’è inevitabile, le sue simpatie. 

Ad esempio, sembra di cogliere una certa ammirazione per la stessa Brik, in grado con la sua intelligenza non solo di costruire un ménage à troisquasi perfetto insieme al marito Osip e all’amante Vladimir (Majakovskij), ma anche di imporre al poeta, colpevole di essersi raffreddato nei suoi confronti, una lunga separazione al fine di salvare il loro rapporto. Risultato: i due si ritroveranno – in quello che è uno dei punti narrativi più intensi del libro – sulla banchina di una stazione moscovita accanto al treno diretto a Pietrogrado, con Majakovskij che, sfinito dall’attesa e dalla tensione, reciterà singhiozzando a Lili il poema Di questo, a lei dedicato. Quale donna non vorrebbe essere artefice di un simile capolavoro strategico? 

Molto bello anche il capitolo incentrato sulla figura non notissima di Ekaterina Furceva, ministro alla cultura durante il disgelo chrusceviano, soprannominata da Šostakovi

“Caterina la Terza” per il suo fare imperioso. Modesta operaia di provincia catapultatasi grazie alla propria tenacia ai vertici del PCUS moscovita, Furceva incarna emblematicamente due temi cui l’autrice si affida ampiamente per caratterizzare le sue donne: da una parte, l’ambiente sociale di provenienza come fattore determinante nella costruzione del proprio destino; dall’altro, l’attenzione per il proprio abbigliamento e per i dettami della moda, altro elemento fondamentale per definire la propria personalità. 

Le pagine di Là dove s’inventano i sogni sono infatti anche un tripudio di dettagli attinti a mise più o meno sofisticate o fantasiose, tra vestaglie di seta giapponese con draghi ricamati (Achmatova), gonne lunghe fino ai piedi simili a fiori di campo (Gippius) e, ovviamente, le geniali stoffe dalle fantasie avanguardiste disegnate negli anni Venti da Varvara Stepanova. Per non parlare poi della spilla con un zaffiro cabochon cinto da un serpente di diamanti regalato dallo zar a Kšesinskaja… Una autentica smania di frivolezza che contagia praticamente tutte, compresa perfino l’insospettabile Aleksandra Kollontaj, commissario del popolo per la famiglia nei primi anni post-rivoluzionari, nota per aver reso legale e gratuito l’aborto, abolito le differenze salariali tra operai e operaie e propagandato una nuova morale sessuale, decisamente avanzata per l’epoca. Forse anche troppo, se è vero che questa straordinaria figura di emancipatrice riuscì in una singolare impresa: con il suo anticonformismo intransigente “stava ugualmente antipatica a uomini e donne”.