12 Ott 2018 - ilmessaggero.it

Margherita Belgiojoso ripercorre la storia della Russia attraverso i ritratti di sedici donne di Andrea Velardi

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«Là dove s’inventano i sogni. Donne di Russia» (Guanda) di Margherita Belgiojoso, è un libro inedito in cui si condensa, in un disegno denso, mobile, caleidoscopico, narrativamente «libero», una straordinaria conoscenza della storia della Russia negli ultimi due secoli, della sua trasformazione cruciale e dolorosa segnata ferocemente dall’eccidio dei Romanov e dalla rivoluzione leninista fino ai gulag staliniani e alla perestrojka che non ha portato ancora pienamente i suoi frutti di democrazia piena come mostra efficacemente il brevissimo, ma assai simbolico epilogo su Anna Politkovskaja. La giornalista della Novaja Gazeta, fu assassinata con quattro colpi di pistola la sera del 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo condominio di ulica Lesnaja a Mosca ed è stata l’unica delle sedici donne del libro che l’autrice ha conosciuto di persona durante una conferenza stampa sul processo a carico del movimento dell’intellettuale eccentrico e anticonformista Eduard Limonov, su cui Emmanuel Carrère ha scritto una straordinaria e fortunata biografia, pubblicata in Italia da Adelphi, proprio dopo essere stato inviato a Mosca a scrivere sulla Politkovskaja e averlo conosciuto durante una manifestazione di protesta.
 
Politkovskaja è il culmine di una galleria di sedici scrittrici, poetesse, artiste e intellettuali, donne di potere e dissidenti che si passano il testimone in una corona di ritratti ricchissimi di suggestione, così tanti che un elenco rischierebbe di far diventare cronaca quella che è invece una giostra continua di camei altamente evocativi, in cui ogni donna cede il posto ad un’altra senza scomparire dalla scena, in un costante rimando e incastro, in una rotazione accelerata che mima il flusso della storia, i suoi tornanti imprevisti e crudeli, le sue stagnazioni e accelerazioni, ma anche i suoi incantamenti e le sue espressioni culturali felici narrate dalla prospettiva della interiorità, delle emozioni, dello sguardo di ogni singola protagonista,  in una pienezza che ridonda di medaglione in medaglione. Nel ritorno continuo delle nostalgie degli «emigrés» russi a Parigi o dei rifugiati negli Stati Uniti America, in fuga dalla Russia della Rivoluzione e del comunismo. Margherita Belgiojoso entra nelle pieghe di queste vite, rivela dettagli di una pregnanza straordinaria, con una lente di ingrandimento che si posa a partire da un seducente sguardo retrospettivo.
 
Dopo Praskovia Kovaleva, serva della gleba che diventa il soprano della corte di Caterina II, e la vezzosa ballerina Matilda Ksesinskaia, amante dell' ultimo zar Nicola arriviamo ai primi giorni di un febbraio del Novecento, quando la dolce Anna Achmatova passeggia al crepuscolo sull’isola Vasil'evskij a San Pietroburgo davanti al golfo di Finlandia.  Preferisce i tramonti invernali che dipingono di arancione il mare ghiacciato alle notti bianche del mese di giugno. E’ ferita perché il marito Nikolaj Gumilëv, è stato sbeffeggiato da Zinaida Gippious, la bionda, esuberante, spigolosa poetessa, animatrice delle serate letterarie di Pietroburgo, il cui ritratto fatto da Léon Bakst nel 1906 appare in copertina, prima accesa rivoluzionaria e poi esule in povertà a Parigi per il suo atteggiamento antibolscevico.  Aveva umiliato il marito proprio in Francia. Zinaida è sbottata in sonore risate davanti al poeta, affermato in tutti i circoli intellettuali, ora ridotto ad essere un pover’uomo «pallido e malaticcio», criticandolo in quanto non originale e pieno di cliché. Anna e Nikolaj avevano trascorso la luna di miele a Parigi quasi separati. Lei passeggiava guardando le foto dei russi che si erano sentiti un po’ parigini come lei e conoscendo il giovane pittore Amedeo Modigliani sulle panchine dei giardini delle Tuileries. Non le era dispiaciuto però tornare da sola a Pietroburgo e frequentare il movimento simbolista nella famosa torre di Vjačeslav Ivanov a via Tavriceskaja.
 
Achmatova detesta leggere le sue poesie, le sente «intrise di sospetto, angoscia, timore per un futuro ostile», come se non riuscisse a fare a meno di questa negatività. Ma nell’agosto 1914 quando la Russia entra in guerra, è un di grande produttività culminante nel libro «Stormo bianco» del 1917. Belgiojoso narra il suo sgomento nel 1918 per la pubblicazione del poema simbolista I dodici di Aleksandr Blok, dove s'inneggia alla rivoluzione investendo di significati religiosi la morale bolscevica, in un tradimento della poetica simbolista in complicità coi futuristi. Seguono l’arresto e l’esecuzione senza perché di Gumilëv, l’avvento di Stalin nel 1924, col suo crudo accento georgiano, l’arresto del figlio Lev per colpire lei che ormai è come un «uccello azzoppato da una fucilata». Nel 1935 con «Requiem», solo la speranza e la delicatezza del suo canto possono raccontare la deportazione stalinista, l’orrore della falsa «grande guerra patriottica» ai nemici del popolo, il dolore della Russia che «si torceva sotto stivali insanguinati», le «schiere di condannati» che marciavano «impazzite dal tormento». Mentre lei ha i nervi a pezzi, ha paura perfino di attraversare la strada della sua città, ribattezzata Leningrado, città straordinariamente versata alla catastrofe. E non a caso era stata Ol'ga Berggol'c, voce di Radio Leningrado, durante i 900 giorni dell’assedio nazista, a volere a tutti i costi la sua voce dolce, impastatata, flemmatica per incitare alla resistenza il popolo russo, mentre l’unica speranza era che si ghiacciasse il lago Ladoga.
 
L’ottavo ritratto è per Lili Brik, amante di Vladimir Majakovskij e moglie dell’ editore Osip Brik, che si ritrovano a vivere tutti e tre insieme nell'appartamento vicino alla Prospettiva Nevskij.  Viene colta mentre scrive al poeta in viaggio per Parigi perché le porti i cataloghi delle creazioni e dei modelli di Madame Vionnet.  Spinge Volodja, che alloggerà all’hotel Istria dove stanno anche Duchamp e Picabia, a incontrare chi conta nella vivace comunità russa, a chiarire le idee ai Merežkovskij e a Nina Berberova, che pensavano di voltare le spalle alla patria ormai povera nel mezzo del più tremendo grande esperimento ideologico della storia. Ma in un viaggio a Berlino, Lili realizza, dopo litigi e depressioni, in preda al continuo tarlo del suicidio per Vladimir, che entrambi vivono due vite parallele «con fusi orari incompatibili e in uno spazio mentale separato».
 
Si susseguono poi Varvara Stepanova, designer e grafica avanguardista ispiratrice del costruttivismo, insieme con il marito Aleksandr Rodčenko; Svetlana Alliluyeva, l’amata figlia di Stalin che il 6 marzo 1967, si presenta all’ambasciata statunitense di Nuova Delhi per chiedere asilo politico e muore in un ospedale del Wisconsin col nome di Lara Peters nel novembre del 2011. La grande attrice Ljubov' Orlova, «il sorriso del cinema sovietico», legge perplessa sul giornale dalla sua dacia la notizia dell’atterraggio di Svetlana negli Stati Uniti. E’ molto legata all’Unione Sovietica nonostante tutto, anche se nemmeno Chruščëv riuscirà a convincerla quando dice che mentre oltreoceano servono molti dollari, da loro basta nascere cittadino sovietico per avere una casa. C’è spazio pure per Ekaterina Furceva, ministra della Cultura e seconda donna membro del Politburo, in preda allo scandalo per la fuga del primo ballerino del Kirov, Rudol'f Nureev.
 
Toccante il capitolo sulla grande Nina Berberova, le sue peregrinazioni e il suo esilio dalla Russia, cominciato nel 1922 a Parigi, dovuti più all’amore per il poeta Chodasevič, che a ragioni politiche. Biografa di Čajkovskij, intimidita dall’Achmatova, frequenta Zinaida Gippius, vestita tutta di rosa nonostante i capelli fulvi, accettata nelle sue stranezze al contrario di quello che accadeva alla povera e infelice Marina Cvetaeva. Dal 1950 in America diventa  «il riferimento e la confidente della comunità russa» rifugiata nell’enclave parigina di artistici «déracinés» creatasi a Billancoourt - ambientazione del suo capolavoro Le feste di Billancoourt - alla generosità verso l’esule del calzolaio e della merciaia di quel sobborgo di esuli. Berberova era stata la più ascoltata cronista del processo Kravčenko del 1944, che forse ha influenzato lei a fuggire oltreoceano (sotto falso nome per non fare la fine di Trockij), scatenando il suo livore contro i comunisti francesi, con la querela alla rivista «Les Lettres françaises» per averlo accusato di non essere l’autore del famoso memoriale, ma una pedina dei servizi segreti americani. Infine vale la pena di dedicare una nota alla coriacea Elena Bonner, l’attivista dissidente che ritira a Oslo il  premio Nobel per la Pace a nome del marito Andrej Sacharov. Un matrimonio assediato dalle continue irruzioni del KGB. E con loro scopriamo un inedito Kazakistan, terra dura, in cui la natura ostenta la sua primordiale potenza, segnata dalla contaminazione radioattiva di Semipalatinsk, dove i kazaki credono invece che Dostojevkij sia stato mandato al confino, scrivendo «Il villaggio di Stepànčikovo».