25 Gen 2019 - Not Only Magazine

Dalla Russia con passione di Eleonora Attolico

Not Only Magazine

Conoscere la storia di sedici donne russe. Vissute negli ultimi tre secoli. E attraverso di loro, le grandi questioni: i decabristi, l’abolizione della servitù della gleba, il terrorismo anti-zarista, la Rivoluzione, lo Stalinismo, la cortina di ferro.   Figure femminili battagliere e piene di passioni. E’ la scommessa del libro di Margherita Belgiojoso: “Là dove s’inventano i sogni. Donne di Russia” edito da Guanda. Il libro sta suscitando accese discussioni, in molti parteggiano per l’una o l’altra. L’autrice, milanese DOC, ha studiato all’Istituto Zaccaria e al Liceo Parini per poi  “emigrare ” a Londra al Courtauld Institute  e alla London School of Economics. Nell’ottobre 2002, la decisione di provare il brivido (in tutti i sensi) della Grande Madre Russia dove ha vissuto per una decina di anni diventandone un’ottima conoscitrice. Ha accettato di incontrarci per una riflessione sulla storia di questa potenza dell’Est di cui noi occidentali, alla fin fine, sappiamo poco.

Durante il periodo moscovita, ha scritto per varie testate tra cui L’Espresso, Diario, il Domenicale del Sole 24ore, Il Foglio, l’Unità, D di Repubblica. Tornata in Italia si è concentrata sulla saggistica. Con quale criterio ha scelto i sedici personaggi del libro?

Sono donne molto note in Russia. L’equivalente in Italia di Grazia Deledda o Maria Montessori. Figure emblematiche di una pagina di Storia del Paese. La prima di cui mi sono interessata è stata Matilda Kšesinskaja, la ballerina dello Zar Nicola II che poi sposò il Granduca Andrej Romanov. Le ho raccontate nella loro casa, nel loro contesto. Ho cercato di capire o intuire anche come potessero essersi incrociate nel corso della loro vita. Soprattutto quelle vissute nel Novecento.

Il libro è ben documentato. Come ha organizzato la ricerca storica?

Essendo personaggi celebri, ho utilizzato fonti secondarie: biografie, raccolte di lettere, diari. Molti volumi li ho trovati in libreria o su Amazon. Ho anche frequentato la Biblioteca di Mosca ma non sono andata a cercare documenti particolari in archivio perché non ce ne era bisogno. Non ho scritto sedici biografie nel senso didascalico del termine.

E quindi cosa sono?

Ho voluto raccontare uno spaccato della loro esistenza. Alcune cose le ho immaginate. Mi ha aiutato conoscere la Russia per aver viaggiato molto. Un periodo, infatti, lavoravo per la Ferrero e mi mandavano nei luoghi più reconditi a parlare con i distributori di cioccolata. Tornando al libro e alle mie libertà letterarie, faccio prima a spiegarlo con un esempio: la star del cinema sovietica Ljubov’ Orlova. La descrivo seduta nella sua dacia. Alle dieci di mattina è ancora buio. Ha davanti a sé il giornale e un copione che non le piace. Di vero c’è solo che aveva una dacia a Vnukovo. Ed è anche certo che in Russia il sole si alza tardi e d’inverno tutti se ne lamentano.

Ci parli della copertina. Chi è la bella donna vestita da uomo?

E’ un ritratto di Zinaida Gippius, scrittrice (poeta amava definirsi e non poetessa)  e saggista (1869-1945). Il disegno è realizzato da un grande artista russo Léon Bakst. Era il braccio destro di Sergej Djagilev. E fu pittore, scenografo e costumista per i Ballets Russes.  A Pietroburgo Zinaida nel 1901 fondò, insieme al marito Dimitri Merežkovskij una Società filosofico-religiosa. Un credo che presto divenne incompatibile con Rivoluzione d’ottobre del 1917. Così dopo aver sofferto il freddo e la fame, la coppia emigrò la notte di Natale del 1919. Prima a Varsavia, poi a Wiesbaden e Parigi. Quando Zinaida si rese conto che il regime demoliva il rapporto tra società e individuo e che il socialismo usurpava il ruolo della religione capì che non aveva più senso rimanere . Nella copertina del volume è vestita da uomo. Léon Bakst riuscì a coglierne la personalità: androgina ma femminile. I pantaloni neri aderenti, il colletto di pizzo. Aveva la carnagione chiara, grandi occhi verdi, capelli rossi e labbra scarlatte. Era l’incarnazione dell’estetica simbolista. Ma si sentiva russa e non sovietica. Tornando agli incroci tra le varie donne del libro, nel capitolo a lei dedicato, accenno a una figura letteraria fondamentale di quegli anni, Anna Achmatova (1889-1966). La Gippius non perdeva occasione per dire che usava un tono troppo femminile, uno stile vuoto di mistero. E invece l’Achmatova è un monumento della letteratura russa contemporanea. Le due, in ogni caso, non si amavano.

Della Achmatova lei scrive “la Cassandra di Pietroburgo” perché?

Faceva parte di un gruppo chiamato acmeista, fondato dal primo marito Nikolaj Gumilëv. Temeva un futuro ostile, i suoi versi evocavano il fardello delle sofferenze umane. Non a caso, nel 1914, la Russia entra in guerra. Dopo la Rivoluzione i bolscevichi la temono. Andrej Ždanov, arbitro della cultura di quegli anni, la definiva metà sgualdrina e per metà monaca. In quanto a Aleksandra Kollontaj (1872-1952 anche lei oggetto di un capitolo n.d.r.) era commissario alla Famiglia sotto Lenin. Una comunista tutta d’un pezzo che parlava già all’epoca di divorzio, di aborto ecc..Dal punto di vista storico è stata una figura importante. Era convinta che bisognasse cambiare la condizione femminile attraverso la politica. Si batteva per le riforme sociali, per la parità dei salari. Esagerava quando diceva che i figli dovevano essere allevati dal soviet e non dalla famiglia… Eppure nei confronti dell’Achmatova, la Kollontaj sapeva cogliere le sfumature. Diceva che le sue poesie riflettevano l’anima di una donna in un’epoca di transizione. Ecco dunque come si intrecciano i miei personaggi. Tutto questo ha anche lo scopo di mostrare cosa significasse, per esempio, vivere confinati in Siberia. Descrivere la vita di Pietroburgo o di Mosca. Parlare dello stalinismo.

E si sofferma sulla figura di Svetlana, la figlia di Stalin…

Svetlana (1926-2011)era la figlia prediletta da Stalin, la amava più dei fratelli Vasilij e Jakov. Perse la madre all’età di sei anni, ufficialmente per appendicite ma racconto che, in realtà, la donna si suicidò per gelosia del marito. Descrivo l’infanzia di Svetlana  tutto sommato felice. È stata anche una scusa per seguire la trasformazione urbanistica e architettonica di Mosca. La figlia di Stalin amava la capitale che considerava un po’ la sua famiglia. Nel 1935, era stata inaugurata la metropolitana. Mi focalizzo sui sette grattacieli gemelli chiamati pomposamente “Palazzi della Vittoria” per sottolineare la potenza dell’U.R.S.S. che aveva sconfitto la Germania nazista. Si arriva poi al colpo di scena.

E quale sarebbe ?

Dopo il rapporto di Nikita Chruščëv al Ventesimo Congresso, nel 1956, che denunciava le purghe staliniane, qualcosa cambia in Svetlana. Dopo un viaggio in India per spargere nel Gange le ceneri del fidanzato comunista Brajesh Singh, decise di non tornare più in Russia. Bussò all’Ambasciata americana di New Delhi. Era il 1967. La fine del capitolo coincide con l’atterraggio dell’aereo negli Stati Uniti. Come a voler raccontare un momento della sua vita e non necessariamente tutto il percorso esistenziale.

Perché l’epilogo sulla giornalista Anna Politkovskaja è scritto in punta di penna e con grande prudenza? Ha usato perfino un carattere tipografico diverso.

Le hanno sparato il 7 ottobre del 2006 nell’ascensore di casa. Non potevo metterla sullo stesso piano delle altre che, bene o male, sono morte nel loro letto. E’ stata assassinata. Non si sa ancora chi è il mandante, il processo è in corso, la verità non è venuta fuori. Era famosa e rispettata. Non me la sono sentita di scrivere di lei con quello stile letterario che caratterizza il resto del volume. L’omicidio di Anna Politkovskaja è un fatto di cronaca brutale e l’ho redatto senza aggettivi, come un lancio di agenzia. Per rispetto.